L’ amore ha una tale complessità di definizioni che non sarò certo io a coniarne una nuova.
Non da sobrio, per lo meno.
Inoltre mi pare presuntuoso emulare il “petaloso” che a suo tempo riscosse il giubilo universale.
Però di quanto all’ amore, a talune sue espressioni peculiari, siano connessi rapporti, relazioni e approcci di vita mi viene di parlarne, adesso.
Qualche settimana fa ho ricevuto una telefonata: era il sindaco, il quale mi chiedeva la disponibilità a far da Virgilio ai membri dell’Arcigay provinciale.
In poche parole un sopralluogo nel castello dove lavoro.
S’intendeva organizzare una mostra: “I colori dell’ amore”, sulla storia dell’omosessualità in Italia e sulle discriminazioni perpetuate contro i gay.
Ho accettato ben volentieri, sia in ossequio al vecchio adagio “ogni desiderio è un ordine” sia per sfruttare un’occasione alternativa a ciò di cui di solito mi occupo, che di rado ha a che fare con il mondo dei vivi.
Discorrendo sull’individuazione degli spazi più idonei mi sono ripromesso pure di scriverne, allorché l’iniziativa fosse stata confermata.
Sono un uomo dai facili entusiasmi, e sebbene tuttora sia più che felice di parlarne, appena passato il momento euforico ho realizzato l’abisso tra recensire un evento visto… e parlare senza grandi appigli, magari con l’eventualità di riportare strafalcioni.
E così, più che descrivere a cosa si andrà incontro varcando il portone del castello venerdì 18 maggio alle 21:00, quando con i favore delle tenebre s’inaugurerà la rassegna, ho pensato di fare un articolo “corale”.
Cioè di raccogliere pensieri, impressioni, stati d’animo miei e di chi ha la pazienza di leggermi.
Ho chiesto la cortesia di comunicarmi la reazione alla notizia di un/a figlio/a o sorella/fratello che dichiari loro la propria omosessualità. Un amore considerato “diverso”, chissà poi perché!
Significa che avrei continuato a salutare e a voler bene anche coloro che non avrebbero risposto.
Non tutti infatti, per ragioni più che comprensibili, sarebbero stati propensi a palesare la risposta in uno spazio pubblico.
C’è chi – anche solo per una naturale ritrosia, per timidezza, per l’uso che si fa dei social – preferisce un approccio meno esposto. Lo comprendo benissimo.
Altri non si fanno problemi: è altrettanto meritorio perché diventa un modo per testimoniare il proprio pensiero.
In pochi giorni ho ricevuto molti messaggi e delle e-mail, che ho raccolto in una dozzina di pagine, ad esclusione dei commenti pubblici visibili su facebook.
Per chi volesse leggerli, basta cliccare QUI.
È stata una gran bella esperienza.
Si è creata, almeno per me, un’empatia molto sentita nonostante spesso, a mia volta, abbia risposto con concisione.
È come se persone perfino sconosciute si accomunassero agli amici, creando una sorta d’intesa.
Ognuno ci ha messo del proprio, e alcuni si sono dilungati rimarcando così quanto stesse loro a cuore esprimersi.
Ho avuto l’impressione di condividere con tutti quel piacere raro e non scontato dell’essere messi a parte, vicendevolmente, di un aspetto intimo, personale, umano, qual è il tema dell’ amore, quasi che un comune moto dell’animo avesse scaldato il cuore; aperto le porte dei pensieri più cari; disinibito i retaggi che ci portiamo appresso.
Nella gran parte delle risposte c’è un aspetto unificante delle reazioni di tanti: è il timore di come potrà vivere il proprio amore chi si dichiara in una società che un po’ tutti avvertiamo come ostile.
Ebbene, è proprio constatare che intorno a me, a noi, esistano più persone di quanto c’immaginiamo aperte, ben disposte, amorevoli… che fa ben sperare!
Il fatto è che dovremmo superare la paura degli altri – e mi ci metto io per primo in questo – e non esitare a palesare questa apertura: oltre a far bene a ciascuno di noi, è di vitale importanza proprio per far star bene chi ci sta vicino e coloro ai quali diamo amore familiare, amicale, sentimentale.